Prima VIDEO-FAQ – Torna il reato di falso in bilancio

Prima VIDEO-FAQ – Torna il reato di falso in bilancio

 

La nuova disciplina del falso in bilancio approvata mira a soluzioni di maggiore  severità rispetto alla precedente normativa.

Il codice civile, agli articoli 2621 e ss, utilizza la locuzione “false comunicazioni sociali” per indicare il reato di falso in bilancio, riferita non solo alla fraudolenta compilazione del bilancio, ma anche a tutte le comunicazioni sociali e alle relazioni che la legge impone di redigere, oltre all’omissione di questi obblighi.

La nuova normativa innova tali articoli introducendo il requisito della concreta idoneità dell’azione o dell’omissione a indurre altri in errore. La condotta illecita consiste, quindi, nell’esporre consapevolmente fatti materiali rilevanti non rispondenti al vero od nell’omettere consapevolmente fatti materiali rilevanti la cui comunicazione è imposta dalla legge sulla situazione economica, patrimoniale e finanziaria della società o del gruppo alla quale appartiene, in modo concretamente idoneo ad indurre altri in errore. Gli eventuali errori e le imprecisioni che scaturiscono dalle valutazioni sono escluse dall’area del penalmente rilevante.

Spariscono le soglie di punibilità che avevano rappresentato uno degli elementi di forte criticità della passata normativa, in quanto creavano una sorta di “zona franca” del falso in bilancio. La punibilità era, infatti, esclusa se la falsità o le omissioni non alteravano in modo sensibile la rappresentazione della situazione economica o finanziaria della società. Punibilità che rimaneva esclusa se il reato determinava una variazione del risultato di esercizio non superiore al 5% o una variazione del patrimonio netto non superiore all’1%. In ogni caso il fatto non era punibile se frutto di stime che si scostavano per non più del 10% da quelle corrette.

La riforma, con l’azzeramento di tali soglie di punibilità vuole tentare di eliminare l’idea di impunità, specie per le società di grandi dimensioni.

I soggetti attivi del reato restano quelli del passato ovvero amministratori, direttori generali, dirigenti addetti alla predisposizione delle scritture contabili, sindaci e liquidatori. Per l’individuazione della condotta penale, occorre distinguere tre ipotesi: società quotate, società non quotate e società non fallibili.

Le sanzioni, in caso di delitto commesso sui conti di una società quotata, prevedono il carcere da 3 fino a 8 anni. Alle società quotate sono equiparate: le società che ancora non sono quotate, ma che hanno richiesto l’ammissione alla Borsa e avviato le procedure necessarie; le società che emettono strumenti finanziari in un sistema multilaterale di negoziazione; e le società controllanti e quelle che fanno appello al pubblico risparmio (società aperte che possono anche non essere quotate, ma le cui azioni sono diffuse in modo rilevante tra il pubblico). Per le società quotate e quelle ad esse equiparate, il delitto si consuma attraverso l’esposizione di fatti materiali non corrispondenti al vero ovvero di omissione dei medesimi. Da sottolineare come il nuovo sistema mira ad estendere la rilevanza penale anche a fatti non veritieri ritenuti di scarsa rilevanza.

Si evidenzia, inoltre, che data la pena massima degli otto anni, è previsto per le società quotate la possibilità di avvalersi dello strumento delle intercettazioni.

Per le società non quotate la sanzione è compresa tra un minimo di un anno ad un massimo di 5 anni di carcere. I fatti materiali esposti od omessi devo risultare “rilevanti”. Si tratterà di comprendere, non potendo più fare riferimento a soglie quantitative, in base a quali parametri oggettivi determinati fatti materiali non rispondenti al vero o l’omissione di essi possano ritenersi “rilevanti”. La norma fa riferimento a fatti “concretamente idonei” e non semplicemente “idonei”. Per le società non quotate, inoltre, la legge, riconosce la possibilità di applicare pene ridotte, da 6 mesi a 3 anni, nelle ipotesi in cui i fatti siano di “lieve entità” con riferimento alla natura e alle dimensioni della società e alle modalità e agli effetti della condotta.

Inoltre, per le non quotate è prevista espressamente la possibilità di applicare al falso in bilancio della nuova causa di non punibilità introdotta nel Codice penale con il recentissimo D.lgs. n. 28/2015 che ha introdotto l’articolo 131 bis che prevede la non punibilità per i reati sanzionati fino a 5 anni (ed è il caso delle non quotate), quando, per le modalità di condotta e per l’esiguità del danno o del pericolo, l’offesa è particolarmente lieve e il comportamento non è abituale. Si rimette al giudice, nella valutazione sulla concessione, di fare particolare riferimento all’entità del danno provocato alla società, ai creditori e ai soci.

Nel caso di società non soggette alle disposizioni sul fallimento, in quanto non superano i limiti previsti dal Rd 267/1942 ( cioè le società che nei tre esercizi antecedenti o dall’inizio dell’attività, se di durata inferiore, hanno un attivo patrimoniale complessivo annuo non superiore a 300mila euro; ricavi lordi annui non superiori a 200mila euro; debiti anche non scaduti non superiori a 500mila euro),  la pena prevista è compresa tra 6 mesi e 3 anni. Per queste società viene esclusa la rilevanza penale in caso di “lieve entità” che invece per le società non quotate costituisce un’attenuante.

In base a quanto stabilito dalla nuova normativa si potrà procedere d’ufficio per le società quotate e le non quotate. Il delitto è, invece, procedibile soltanto a querela per le società non soggette alle disposizioni fallimentari.

La nuova fattispecie entrerà in vigore il 14 giugno 2015, e a tale data potrà verificarsi che alcune società non abbiano ancora concluso il processo di approvazione del bilancio relativo all’anno 2014.

Poiché, il procedimento che porta al deposito del bilancio al Registro delle imprese è caratterizzato da più fasi (redazione del progetto di bilancio e delle relazioni depositate presso la sede della società, approvazione dell’assemblea dei soci e deposito presso il Registro delle  imprese), bisogna capire in quale fase si compie il reato.

In considerazione del fatto che, secondo quanto disposto dai nuovi artt. 2621 e 2622 del Codice civile, è l’esposizione dei fatti materiali non rispondenti al vero nei bilanci, nelle relazioni o nelle altre comunicazioni sociali previste da legge, dirette ai soci e ai terzi a determinare la consumazione del reato, si ritiene che il reato di consumi all’atto della redazione del progetto di bilancio da parte degli amministratori.

A questo punto è necessario considerare la successione delle differenti disposizioni nel tempo e, quindi, se e in che termini possono trovare applicazione le norme abrogate e quelle appena introdotte. In base all’art. 2 del codice penale nessuno può essere punito per un fatto che:

  • secondo la legge del tempo in cui fu commesso, non costituiva reato;
  • secondo una legge posteriore non costituisce reato; se vi è stata condanna ne cessano l’esecuzione e gli effetti penali.

Inoltre, nel caso in cui la legge in vigore al tempo in cui è stato commesso il reato e quelle posteriori sono diverse, si applica quella le cui disposizioni sono più favorevoli al reo, salvo sia stata pronunciata sentenza irrevocabile. Ciò sembrerebbe indirizzare verso una soluzione tipo per cui, tutte le violazioni commesse sino all’entrata in vigore della nuova legge anticorruzione non sarebbero più perseguibili, trattandosi di fatti non previsti dalla legge come reato.

Tuttavia, difficilmente un’ipotesi del genere è verificabile, in quanto la Corte di Cassazione a Sezioni Unite (sentenza 25887/2003) ha ritenuto che se si fosse verificata una successione nel tempo di leggi penali con effetto parzialmente abrogativo, la perseguibilità penale dei fatti commessi prima delle modifiche è subordinata alla verifica che le violazioni passate siano sanzionate penalmente anche dalle nuove norme, per effetto della cosiddetta continuità normativa.

Da non sottovalutare è il rischio di concorrere con delitti di natura tributaria. Molti fatti rilevanti che non rispondono al vero o di omissione in bilancio possono integrare fattispecie penali tributarie. Ad esempio nel caso di fatture false ricevute, in assenza di soglie quantitative così come previsto dalla nuove fattispecie penali societarie, è verosimile che ci si trovi di fronte sia ad una dichiarazione fraudolenta mediante l’utilizzo di documenti per operazioni inesistenti, ma anche ad un falso in bilancio. Nel caso in cui si abbiano omessi versamenti, per es. di ritenute o di Iva, le violazioni penali tributarie sono, invece, irrilevanti ai fini del falso in bilancio in quanto non alterano i valori del bilancio, ma viene soltanto omesso il versamento di quanto dichiarato. Ovviamente, questo vale se le rivenute o l’iva non versata sono regolarmente esposti tra i debiti del bilancio.

Palermo 05 giugno 2015

Dott. Angelo Pisciotta

Consulente del Lavoro e Dottore Commercialista