La Rivalutazione dei Beni Aziendali – legge 145/2018

La Rivalutazione dei Beni Aziendali – legge 145/2018

SINTESI

 

Il valore originario di iscrizione in bilancio dei beni strumentali può rivelarsi inadeguato non solo se risulta gonfiato rispetto a quello reale, ma anche se appare sottostimato.

 

In questi casi può essere opportuno procedere a una rivalutazione di tali beni, adeguandone il valore a quello reale.

 

La rivalutazione consiste nell’aumento del valore di componenti attivi del patrimonio.

 

Le rivalutazioni dei beni materiali possono essere obbligatorie oppure facoltative.

 

La legge di Bilancio 2019 consente alle imprese che non applicano i principi contabili internazionali di rivalutare i beni iscritti nel bilancio 2018 e già posseduti al 31 dicembre 2017.

 

La rivalutazione richiede il versamento, in unica soluzione entro il 30 giugno 2019, dell’imposta sostitutiva del 16%, ridotta al 12% per i beni non ammortizzabili.

 

Gli effetti fiscali della rivalutazione decorreranno dall’esercizio 2021 (deducibilità dei maggiori ammortamenti) e dall’1 gennaio 2022 (plusvalenze da realizzo).

 

Le finalità che si raggiungono con le rivalutazioni monetarie sono le seguenti:

  • ottenere bilanci più significativi, in quanto gli elementi del risultano misurati in modo omogeneo;
  • calcolare quote di ammortamento più adeguate, in quanto rapportate ai nuovi valori; esse potranno rispecchiare l’effettivo deprezzamento dei beni e far fronte all’effettivo reintegro economico del patrimonio. Attraverso le quote di ammortamento le rivalutazioni monetarie incidono indirettamente sulla determinazione del risultato economico d’esercizio;
  • calcolare minusvalenze e plusvalenze effettive, in quanto rapportate a nuovi valori, in caso di cessioni di beni rivalutati;
  • evitare di distribuire utili apparenti e di pagare imposte su utili non effettivi (si evita pertanto il definanziamento aziendale);
  • ottenere un migliore rapporto tra capitale proprio e capitale di debito.

 

La legge n. 145/2018 (commi 940 e seguenti) consente alle imprese di adeguare i valori di beni (diversi da quelli alla cui produzione e al cui scambio è diretta l’attività dell’impresa) e partecipazioni in società controllate e collegate, già risultanti dal bilancio dell’esercizio chiuso al 31 dicembre 2017 e ancora posseduti al termine di quello successivo.

 

Il costo della rivalutazione, analogamente a quanto previsto da precedenti provvedimenti, è particolarmente elevato. L’imposta sostitutiva è pari al 16% per i beni ammortizzabili e del 12% per quelli non ammortizzabili (terreni e partecipazioni).

 

La riserva in sospensione di imposta contabilizzata a fronte della rivalutazione può essere affrancata versando un ulteriore tributo del 10%.

 

La rivalutazione non può essere effettuata solo civilisticamente: l’incremento dei valori nel bilancio d’esercizio comporterà necessariamente l’applicazione dell’imposta sostitutiva, che dovrà essere versata in un’unica rata alla scadenza del versamento del saldo 2018 delle imposte sui redditi.

 

Il recupero fiscale della rivalutazione avverrà a partire dall’esercizio 2021 per quanto attiene alla deduzione dei maggiori ammortamenti, mentre per la rilevanza ai fini di plusvalenze e minusvalenze da cessione occorrerà attendere il 1° gennaio 2022. Prima di tale data, gli atti di realizzo dei beni rivalutati faranno perdere efficacia alla rivalutazione, con attribuzione di un credito di imposta pari al tributo versato.

 

È inoltre consentito, mediante pagamento dell’imposta sostitutiva di cui sopra, riallineare i valori fiscali ai maggiori valori contabili iscritti in bilancio. Per i soli beni immobili, tale riallineamento ha invece efficacia già dall’esercizio in corso al 1° dicembre 2020.

 

SOGGETTI INTERESSATI

Possono avvalersi della rivalutazione disposta dalla legge n. 145/2018 le società di capitali (Spa, Sapa, Srl), le cooperative, gli enti commerciali soggetti ad Ires, nonché gli enti non commerciali limitatamente ai beni relativi all’attività commerciale esercitata e le società non residenti che esercitano attività commerciali nel territorio dello Stato mediante stabili organizzazioni. I soggetti interessati non devono adottare i principi contabili internazionali nel bilancio d’esercizio chiuso al 31 dicembre 2018.

 

Per le società con bilancio 2018 redatto secondo le regole del Codice civile, la rivalutazione resta efficace anche qualora, dall’esercizio 2019, venissero adottati i principi internazionali.

 

La rivalutazione, per effetto del rinvio operato dal comma 946 della legge n. 145/2018 all’art. 15 della legge n. 342/2000, è consentita anche alle imprese individuali (solo per i beni iscritti in inventario) e alle società di persone (art. 1, comma 2, D.M. n. 162/ 2001, pure richiamato dal comma 946) anche se in contabilità semplificata. In quest’ultimo caso, è necessario che venga redatto e vidimato un apposito prospetto da cui risultino i prezzi di costo e la rivalutazione effettuata.

 

La rivalutazione può essere effettuata anche dalle società in liquidazione volontaria. Per ottenerne i benefici, occorre però che la alienazione dei cespiti, e dunque la chiusura della procedura, sia rinviata al 2022. Per evitare la tassazione in sede di ripartizione di somme ai soci, è opportuno in questi casi affiancare anche l’affrancamento della riserva (si veda oltre).

 

In caso di affitto di azienda, se gli ammortamenti vengono dedotti dall’affittuario, sarà quest’ultimo ad effettuare la rivalutazione. Al termine dell’affitto, l’azienda sarà trasferita al concedente, comprensiva dei beni rivalutati e della riserva. Se invece il concedente continua a stanziare gli ammortamenti (deroga convenzionale all’art. 2561 del Codice civile), la rivalutazione sarà effettuata solo da quest’ultimo.

 

In caso di bene oggetto di un diritto di superficie, la rivalutazione spetta al titolare di tale diritto reale.

 

BENI RIVALUTABILI

 

Possono formare oggetto di rivalutazione:

  • i beni materiali e immateriali, con esclusione di quelli alla cui produzione e al cui scambio è diretta l’attività dell’impresa;
  • partecipazioni in società controllate e collegate (art. 2359 c.c.) costituenti immobilizzazioni finanziarie.

 

Sono rivalutabili i beni immateriali consistenti in diritti giuridicamente tutelati, come ad esempio i diritti di brevetto industriale ed i diritti di utilizzazione delle opere dell’ingegno, i diritti di concessione, licenze, marchi, know-how, altri diritti simili iscritti nell’attivo del bilancio.

 

Non possono invece essere rivalutati, oltre ai beni materiali e immateriali alla cui produzione o al cui scambio è diretta l’attività di impresa (cosiddetti beni-merce), le immobilizzazioni immateriali costituite da meri costi pluriennali, quali l’avviamento e le spese a utilità pluriennale (spese di impianto ed ampliamento, spese di sviluppo), nonché le partecipazioni che non siano di controllo o di collegamento ai sensi dell’art. 2359 del Codice civile, ovvero quelle che non costituiscono immobilizzazioni.

 

I beni devono risultare, con la destinazione richiesta dalla legge, nel bilancio dell’esercizio in corso al 31 dicembre 2017, oltre che in quello in cui si esegue la rivalutazione (2018).

 

Per i beni provenienti da società incorporate (art. 172 del Tuir) o scisse (art. 173 del Tuir) e per quelli ricevuti a seguito di conferimento di azienda (art. 176 del Tuir) si ha riguardo alla data di acquisizione della società dante causa.

 

Quindi, ad esempio, in presenza di fusione avvenuta nel corso dell’esercizio 2018, l’incorporante potrà rivalutare beni che erano già posseduti dall’incorporata al 31 dicembre 2017.

 

Il D.M. n. 162/2001, richiamato dalla legge n. 145/2018, prevede l’obbligo di rivalutare tutti i beni di una medesima categoria omogenea.

 

Qualora il contribuente effettui (erroneamente) la rivalutazione soltanto di alcuni beni di una categoria omogenea, gli effetti fiscali della rivalutazione vengono meno per tutti i beni appartenenti alla medesima categoria. Quest’ultimo effetto potrà però essere evitato qualora il contribuente, anche in sede di accertamento, versi l’imposta sostitutiva riferita al bene (o ai beni) illegittimamente escluso, maggiorata di sanzioni ed interessi. Questo ravvedimento non consente però di considerare fiscalmente rivalutato anche il bene originariamente escluso, mancando il requisito di iscrizione in bilancio del maggior valore.

 

Le partecipazioni devono essere raggruppate secondo i criteri dell’art. 94 del Tuir, cioè considerando i titoli (e le partecipazioni non azionarie) emessi dallo stesso soggetto e aventi uguali caratteristiche. Per i beni immateriali, ogni singolo bene costituisce categoria omogenea: quindi, è possibile rivalutare un bene immateriale e non un altro.

 

I beni materiali diversi dagli immobili e dai mobili registrati si rivalutano comprendendo l’intera categoria omogenea per coefficiente di ammortamento (D.M. 31.12.1988) e anno di acquisizione. Ad esempio, i diversi beni compresi nella voce “Impianti generici” dell’anno 2015 vanno rivalutati unitariamente (o tutti o nessuno).

 

I beni mobili iscritti in pubblici registri si raggruppano nelle seguenti categorie: A) aeromobili, B) veicoli; C) navi e imbarcazioni iscritte nel registro internazionale; D) navi e imbarcazioni non iscritte nel registro internazionale.

 

Per i beni immobili, si fa invece riferimento a cinque gruppi omogenei:

  1. aree fabbricabili con la stessa destinazione urbanistica;
  2. aree non fabbricabili;
  3. fabbricati non strumentali;
  4. fabbricati strumentali per destinazione;
  5. fabbricati strumentali per natura.

 

Gli impianti e i macchinari, ancorché infissi al suolo, sono sempre da classificare, ai fini della rivalutazione, tra i beni diversi degli immobili.

 

I fabbricati che sono, al tempo stesso, strumentali per natura (ad esempio: cat. A/10) e per destinazione (ad esempio: uffici amministrativi della società) vanno ricompresi in quest’ultima categoria omogenea.

 

Per individuare l’appartenenza ad una o all’altra categoria, rileva la situazione esistente alla data di chiusura dell’esercizio nel cui bilancio si effettua la rivalutazione (31 dicembre 2018). Ad esempio, un fabbricato di cat. D, che risulta strumentale per destinazione al 31 dicembre 2017, il quale, nell’anno successivo, viene concesso in locazione a terzi, andrà incluso nella categoria dei fabbricati strumentali per natura.

 

Nella rivalutazione degli immobili vanno separatamente considerati: (i) il valore del fabbricato (strumentale per natura, per destinazione, non strumentale); (ii) il valore dell’area sottostante/pertinenziale (immobili non ammortizzabili).

 

È dunque possibile rivalutare solo l’edificio o solo il terreno o entrambi. In tutti questi casi, e dunque qualora si intenda rivalutare sia il fabbricato che l’area sottostante o di pertinenza ovvero solo l’uno o l’altro cespite, occorre individuare distinti valori di rivalutazione riferibili rispettivamente al fabbricato e all’area: ciò in quanto i beni sono classificati in categorie omogenee differenti e aventi altresì una diversa aliquota di imposta sostitutiva.

 

Sono rivalutabili i beni di costo unitario non superiore a euro 516,46, pur se integralmente spesati nell’esercizio di acquisizione; sono inoltre compresi i beni completamente ammortizzati che risultano ancora posseduti in base alla risultanze del bilancio; per i beni immateriali completamente ammortizzati, la rivalutazione è consentita solo se essi riguardano diritti ancora tutelati ai sensi delle vigenti disposizioni normative.

 

I beni a deducibilità limitata possono essere esclusi dalla relativa categoria omogenea.

 

Non vi sono preclusioni a rivalutare beni o partecipazioni che hanno già formato oggetto di adeguamenti in base alle precedenti norme.

 

I beni già condotti in leasing sono rivalutabili da parte dell’utilizzatore solo se il riscatto è avvenuto entro il 31 dicembre 2017. In questo senso si esprime l’OIC nel documento interpretativo n. 5 diffuso in bozza a febbraio 2019, in conformità peraltro a precedenti interpretazioni dell’agenzia delle Entrate (C.M. n. 14/E/2017). Se invece il contratto era ancora in corso a tale data, la rivalutazione non è consentita mancando il requisito della proprietà dei beni.

 

ASPETTI CONTABILI

 

Gli importi iscritti in bilancio per effetto della rivalutazione non possono eccedere i valori effettivamente attribuibili ai beni secondo il loro valore corrente, determinato in base alle quotazioni rilevate nei mercati regolamentati o al valore interno (o valore d’uso) del bene. Quest’ultimo è quantificato sulla base della consistenza, della capacità produttiva e dell’effettiva possibilità economica di utilizzazione del bene nell’impresa.

 

La rivalutazione deve avvenire in base ad un unico criterio di valutazione per tutti i beni della categoria omogenea; ad esempio non è possibile applicare il criterio del valore di mercato per alcuni beni e quello del valore interno per altri beni della categoria.

 

È possibile effettuare la rivalutazione anche sulla base di un importo intermedio tra il valore economico del bene (limite massimo sopra indicato) e quello storico (al netto del fondo di ammortamento dopo lo stanziamento della quota ordinarie dell’esercizio 2018) risultante al 31 dicembre 2018. È però in tal caso necessario che questo criterio intermedio sia uniforme per tutti i beni della stessa categoria omogenea.

 

Ad esempio, l’impresa potrà rivalutare un immobile strumentale per destinazione fino al 75% del suo valore corrente (adottando tale regola per tutti i fabbricati compresi in tale categoria), adeguando invece il valore degli “Impianti specifici anno 2015” fino al 60% del loro valore interno.

 

La rivalutazione può essere effettuata sulla base di tre distinti metodi contabili:

  1. rivalutazione del valore attivo e del fondo di ammortamento mantenendo inalterata l’originaria durata dell’ammortamento;
  2. rivalutazione del solo valore attivo;
  3. riduzione del fondo di ammortamento che comporta lo stanziamento di ammortamenti su un costo identico a quello originario.

 

Il documento interpretativo Oic n. 5, diffuso in bozza a febbraio 2019, ricorda che la rivalutazione di un’immobilizzazione materiale o un bene immateriale di per sé non comporta una modifica della vita utile. Non ne dovrebbe pertanto conseguire l’allungamento del periodo di ammortamento e ciò a prescindere dal metodo contabile prescelto. Resta però ferma la necessità, precisa l’Oic, di aggiornare la stima della vita utile nei casi in cui si sia verificato un mutamento delle condizioni originarie.

 

La rivalutazione effettuata con il secondo o con il terzo metodo porterebbe invece, qualora l’ammortamento venga stanziato in bilancio applicando al costo lordo i coefficienti percentuali del D.M. 31 dicembre 1988, un allungamento del tempo di ammortamento. Laddove non si ritenga di apportare una rettifica alla vita utile stimata, si dovrà incrementare la percentuale applicata con conseguente recupero a tassazione in sede fiscale della eccedenza. 

 

Secondo l’Agenzia delle Entrate, il primo o il secondo metodo non possono portare il costo rivalutato ad un valore superiore a quello di sostituzione (inteso come costo di acquisto di un bene nuovo della medesima tipologia oppure valore attuale del bene incrementato dei costi di ripristino della sua originaria funzionalità). L’Oic, nel documento interpretativo n. 3/2009, affermò che «l’esposizione in bilancio di valori contabili dei beni che, visti separatamente dai relativi fondi, potrebbero apparentemente essere superiori a quelli di sostituzione è una circostanza che, sul piano sostanziale, trova soluzione nell’esposizione nello schema di stato patrimoniale del valore netto dei beni». Una analoga precisazione non è invece riportata nel più recente documento 5 diffuso in bozza a febbraio 2019.

 

È possibile adottare metodi contabili differenti per i diversi beni della stessa categoria omogenea e così pure utilizzare un metodo misto (ad esempio, aumento del costo e riduzione del fondo ammortamento).

 

IMPOSTA SOSTITUTIVA

 

La rivalutazione si effettua nel bilancio dell’esercizio successivo a quello in corso al 31 dicembre 2017, per il quale il termine di approvazione scade successivamente al 1° gennaio 2019. Nella generalità dei casi si tratterà del bilancio chiuso al 31 dicembre 2018.

 

Secondo quanto indicato dal Consiglio nazionale dei Dottori commercialisti ed Esperti contabili, nel comunicato del 21 febbraio 2019, la rivalutazione costituisce particolare esigenza che legittima l’utilizzo del maggior termine di 180 giorni previsto dall’art. 2364 del Codice civile per l’approvazione del bilancio, in relazione alle attività valutative e contabili richieste per effettuarla.

 

Sui maggiori valori iscritti in bilancio, occorre versare un’imposta sostitutiva delle imposte sui redditi e dell’Irap pari al 16% per i beni ammortizzabili e del 12% per i beni non ammortizzabili (partecipazioni e terreni).

 

Il pagamento deve avvenire in unica soluzione entro il termine di pagamento delle imposte sui redditi relative all’esercizio 2018. L’imposta si contabilizza a riduzione del saldo attivo di rivalutazione.

 

Come già ricordato, la rivalutazione prevista dalla legge n. 145/2018 non può essere eseguita solo ai fini civilistici.

 

DECORRENZA DEGLI EFFETTI FISCALI E CONTABILI

 

Gli effetti civilistico/contabili della rivalutazione sono immediati per quanto riguarda l’impatto patrimoniale: essi figurano già nel bilancio chiuso al 31 dicembre 2018.

 

In termini di stanziamento a conto economico dei maggiori ammortamenti, gli effetti della rivalutazione si producono invece dall’esercizio successivo a quello chiuso al 31 dicembre 2018. Nel bilancio relativo al 2018, cioè, le società calcoleranno gli ammortamenti sul valore ante rivalutazione in quanto la rivalutazione è una operazione successiva allo stanziamento delle quote di ammortamento.

 

La rivalutazione produce effetti fiscali ai fini degli ammortamenti deducibili e di plafond di calcolo delle manutenzioni a partire dal terzo esercizio successivo a quello in cui viene eseguita, quindi in genere dal periodo di imposta 2021.

 

Nel caso di cessione, assegnazione o destinazione extraimprenditoriale del bene anteriormente all’1 gennaio 2022, la rivalutazione non ha effetto e al contribuente viene attribuito un credito di imposta corrispondente all’imposta sostitutiva versata sul bene ceduto anzi tempo.

 

Dal 2021, i maggiori valori divengono rilevanti anche ai fini del test di operatività delle società di comodo previsto dall’art. 30 della legge n. 724/1994.

 

Per quanto riguarda il coefficiente da applicare agli immobili abitativi rivalutati, l’Agenzia delle Entrate ha precisato che fino al 2020 si applicherà il coefficiente del 6% sul valore non rivalutato; dal 2021 il coefficiente del 4% applicato al valore rivalutato.

 

RISERVA DI RIVALUTAZIONE 

 

I maggiori valori iscritti in bilancio, al netto dell’imposta sostitutiva, devono essere contabilizzati a fronte di una riserva del patrimonio netto, in sospensione di imposta.

 

La distribuzione della riserva ne comporta la tassazione ai fini Ires (o Irpef) in capo alla società. Non è invece dovuta l’Irap (D.M. n. 162/2001).

 

Le imprese in contabilità semplificata, in assenza di bilancio, non subiscono alcuna tassazione della riserva di rivalutazione in caso di distribuzione ai soci e ciò anche qualora, successivamente alla rivalutazione, venga adottata la contabilità ordinaria. Nel caso inverso, si dovrà invece sottoporre a tassazione la riserva al momento della adozione della contabilità semplificata.

 

Civilisticamente, la riserva è distribuibile solo con l’osservanza delle procedure dell’art. 2445, secondo e terzo comma, del Codice civile. Se la riserva viene utilizzata per copertura perdite, non si possono distribuire dividendi fino al reintegro o alla ratifica della copertura mediante delibera dell’assemblea straordinaria.

 

È consentito l’affrancamento del saldo di rivalutazione, mediante corresponsione di una ulteriore imposta sostitutiva pari al 10%, da versare sempre in unica soluzione entro lo stesso termine dell’imposta sulla rivalutazione.

 

L’importo da assoggettare al 10% è costituito da quello al lordo dell’imposta sostitutiva sulla rivalutazione.

 

L’affrancamento della riserva ne comporta l’assimilazione a riserve di utili; pertanto, la loro successiva distribuzione costituisce, per i soci di società di capitali, un dividendo da tassare con le regole degli artt. 47 (privati non imprenditori), 59 (imprese Irpef e società di persone) o 89 (società di capitali) del Tuir.

 

Per le società di persone, come pure per le società di capitali che hanno optato per la trasparenza, l’affrancamento delle riserve rende le stesse distribuibili senza oneri ulteriori.

 

FISCALITA’ DIFFERITA

 

I maggiori valori iscritti sui beni sono fiscalmente riconosciuti, ancorché con un differimento temporale.

 

Come chiarito dall’Oic nel documento interpretativo n. 5, alla data in cui è effettuata la rivalutazione, non sorge dunque alcuna differenza temporanea, essendo il valore contabile pari al valore fiscale.

 

Inoltre, non essendo stanziati ammortamenti sul valore rivalutato nel bilancio 2018, neppure si genereranno differenze temporanee derivanti dalla indeducibilità delle maggiori quote.

 

Nei bilanci successivi, e fino a quello dell’esercizio 2020, la società rileverà imposte anticipate (Ires e Irap), ai sensi del documento Oic 25 (e dunque se esiste la ragionevole certezza del loro recupero), sulla parte di ammortamenti non deducibili in quanto commisurati al maggior valore ancora non rilevante fiscalmente.

 

Dal 2021, queste differenze temporanee cominceranno a riversarsi a seguito del riallineamento temporale tra valore contabile e valore fiscale.

 

Per quanto invece attiene alla riserva di rivalutazione in sospensione di imposta, si applicano i paragrafi 64 e 65 del documento Oic 25.

 

Le imposte differite passive possono in tal caso non essere stanziate se vi sono scarse probabilità di distribuire la riserva ai soci. A tal fine gli amministratori terranno conto della composizione del patrimonio netto e dell’andamento storico delle distribuzioni di dividendi ai soci.

 

AFFRANCAMENTO DEI DISALLINEAMENTI 

 

La legge di Bilancio consente, infine, stante il richiamo all’art. 14 della legge n. 342/2000, l’affrancamento dei disallineamenti tra valori civili e valori fiscali presenti in bilancio al 31 dicembre 2017 e ancora in quello al 31 dicembre 2018 per qualsiasi causa e riferibili agli stessi beni potenzialmente suscettibili di rivalutazione. Ad esempio, disallineamenti da operazioni straordinarie o da rivalutazioni non rilevanti fiscalmente come quella sugli immobili prevista dal D.L. n. 185/2008.

 

Il riallineamento ha la stessa decorrenza temporale della rivalutazione (2021 per ammortamenti; 2022 per le cessioni), tranne che per i beni immobili, per i quali l’efficacia fiscale si ha dall’esercizio in corso al 1° dicembre 2020.

 

In pratica, chi ha immobili con valori disallineati, potrà, adottando il riallineamento, procedere alla loro cessione sfruttando i nuovi valori fiscali già dall’esercizio 2020.

 

Il riallineamento richiede che venga vincolata una apposita riserva (prelevata da quelle già esistenti) a cui si applica il regime di sospensione di imposta. In caso di incapienza o di assenza di riserve è possibile rendere indisponibile una quota del capitale sociale, in quanto l’imputazione a capitale della riserva non fa venir meno la sospensione d’imposta.

 

A differenza della rivalutazione, il riallineamento deve essere effettuato per l’intero differenziale esistente tra valore civile e valore fiscale (non è cioè consentito un riallineamento intermedio). Inoltre, è consentito avvalersene anche solo per taluni beni senza dunque il rispetto del vincolo delle categorie omogenee.

 

Il riallineamento può essere applicato anche dalle imprese che adottano i principi contabili internazionali nel bilancio d’esercizio e può estendersi anche alle partecipazioni immobilizzate in società diverse da quelle controllate o collegate.

 

Palermo, 7 aprile 2019

                                                                                     Dott. Angelo Pisciotta