Il contratto di lavoro subordinato a tempo determinato.

Il contratto di lavoro subordinato a tempo determinato.

Il contratto di lavoro a tempo determinato dà luogo ad un rapporto di lavoro che si caratterizza per la preventiva determinazione della sua durata, estinguendosi automaticamente allo scadere del termine inizialmente fissato.

Il contratto di lavoro subordinato è stipulato di regola a tempo indeterminato ed è previsto un limite massimo di durata oltre il quale il contratto si considera a tempo indeterminato. La durata massima del contratto di lavoro a tempo determinato, comprensivo di rinnovi e proroghe è di 36 mesi.

L’art. 1, comma 1, D.Lgs. n. 368/2001, consente l’apposizione di un termine alla durata del contratto di lavoro subordinato purchè sussistano ragioni di carattere tecnico, produttivo, organizzativo o sostitutivo, anche se riferibili alla ordinaria attività del datore di lavoro.

Per la stipula del contratto di lavoro a tempo determinato è richiesta la forma scritta sia per l’indicazione del termine che per quella delle ragioni che ne legittimano l’apposizione: in caso contrario, in mancanza di un atto scritto, l’apposizione del termine è priva di effetti ed il rapporto di lavoro si considera a tempo indeterminato fin dalla data di assunzione.

In alcune ipotesi, però, per l’assunzione a tempo determinato non è richiesta la sussistenza di specifiche ragioni e nè ovviamente la relativa indicazione nel contratto. Si tratta delle assunzioni:

  • nel settore del trasporto aereo e nei servizi aeroportuali;
  • nel settore del turismo e dei pubblici esercizi, per l’esecuzione di speciali servizi non superiori a tre giorni;
  • per la prosecuzione dell’attività lavorativa di personale dipendente che abbia differito il pensionamento di anzianità;
  • di dirigenti;
  • di lavoratori in mobilità;
  • di disabili ex art. 11 della L. 12 marzo 1999, n. 68.

La forma scritta non è necessaria quando la durata del rapporto di lavoro, puramente occasionale, non sia superiore a 12 giorni di calendario (art. 1, comma 4, D.Lgs. n. 368/2001), nonchè per le assunzioni di dirigenti.

Ai sensi dell’art. 3, D.Lgs. n. 368/2001, è vietato assumere con contratto a termine nei seguenti casi:

  • per la sostituzione di lavoratori in sciopero;
  • per far svolgere le stesse mansioni cui erano adibiti lavoratori licenziati con procedura di licenziamento collettivo ex artt. 4 e 24 della L. n. 223/1991 nei sei mesi precedenti, nella stessa unità produttiva.
  • per far svolgere le stesse mansioni di lavoratori sospesi o a orario ridotto, con diritto al trattamento di integrazione salariale.
  • da parte delle imprese che non abbiano effettuato la valutazione dei rischi.

Il D.Lgs.368, affida ai contratti collettivi nazionali di lavoro stipulati dai sindacati comparativamente più rappresentativi, la individuazione, anche in misura non uniforme, di limiti quantitativi di utilizzazione del contratto a termine stipulato ai sensi dell’art. 1, comma 1, del decreto citato, ed elenca anche tassativamente le ipotesi di contratti a tempo determinato esenti da qualsiasi tetto.

In particolare, l’art. 10, comma 7, D.Lgs. n. 368/2001, così come modificato dall’art. 1, comma 41, legge n. 247/2007, esclude da ogni limitazione quantitativa i contratti a tempo determinato conclusi:

  • nella fase di avvio di nuove attività per i periodi che saranno definiti dai contratti collettivi nazionali di lavoro anche in misura non uniforme con riferimento ad aree geografiche e/o comparti merceologici;
  • per ragioni di carattere sostitutivo;
  • per ragioni di stagionalità.

Sono, inoltre, esclusi i rapporti instaurati con le aziende che esercitano il commercio di esportazione, importazione ed ingrosso di prodotti ortofrutticoli (art. 10, comma 5, D.Lgs. n. 368/2001).

Nei confronti delle attività stagionali di cui al D.P.R. n. 1525/1963 nonché di quelle individuate dagli avvisi comuni e dai c.c.n.l., non trova applicazione il limite complessivo di durata del contratto fissato a 36 mesi (art. 5, comma 4-ter, D.Lgs. n. 368/2001).

Sono esclusi dalla disciplina del D.Lgs. n. 368, i rapporti di lavoro tra datori agricoli e operai a tempo determinato, come definiti dall’art. 12, comma 2, D.Lgs. n. 375/1993 (art. 10, comma 2, D.Lgs. n. 368/2001).

Nei settori del turismo e dei pubblici esercizi è ammessa l’assunzione diretta di manodopera per l’esecuzione di speciali servizi di durata non superiore a tre giorni (c.d. lavori “extra” e “di surroga”), determinata dai contratti collettivi stipulati con i sindacati locali o nazionali aderenti alle Confederazioni maggiormente rappresentative sul piano nazionale (ML circ. n. 34/2010).

L’art. 18 del D.L. n. 5/2012 ha abrogato quella parte dell’art. 10, comma 3 del D.Lgs. n. 368/2001 nella quale si prevedeva la possibilità di comunicare ai servizi competenti i c.d. lavoratori extra (assunti per una durata non superiore a tre giorni) del settore turistico e pubblici esercizi entro 5 giorni dall’assunzione.

Di conseguenza, anche i lavoratori extra sono soggetti agli obblighi comunicazionali generalmente previsti per i settori del turismo e dei pubblici esercizi, rispetto ai quali è data la possibilità di effettuare una comunicazione, pur sempre preventiva, dei soli dati essenziali del lavoratore e del datore di lavoro, da completare entro i successivi tre giorni dall’instaurazione del rapporto di lavoro (ML circ. n. 2/2012; ML nota n. 2369/2012; v. anche INAIL nota n. 1275/2012).

Ai sensi dell’art. 4, D.Lgs. n. 368/2001, il termine del contratto di lavoro può essere prorogato solo per i contratti a tempo determinato che hanno una durata iniziale inferiore a tre anni. Inoltre, in tali casi la proroga è consentita per una sola volta alle seguenti condizioni:

  • che vi sia il consenso del lavoratore;
  • esistano ragioni oggettive (non sono più previste le esigenze contingenti ed imprevedibili);
  • la proroga sia riferita alla stessa attività lavorativa per la quale è stato stipulato il contratto a tempo determinato originario;
  • la durata complessiva del rapporto a termine (contratto iniziale più proroga) non sia superiore ai tre anni.

La proroga, così come la trasformazione da tempo determinato a tempo indeterminato, deve essere comunicata al centro per l’impiego entro cinque giorni.

L’art. 5 del D.Lgs n. 368/2001 prevede, nel caso in cui il rapporto di lavoro continui dopo la scadenza del termine inizialmente fissato o successivamente prorogato, un periodo di tolleranza durante il quale il datore di lavoro è tenuto a corrispondere al lavoratore una maggiorazione della retribuzione per ogni giorno di continuazione del rapporto, pari al 20% fino al decimo giorno successivo ed al 40% per ciascun giorno ulteriore.

Se, però, il rapporto di lavoro continua oltre il ventesimo giorno in caso di contratto di durata inferiore a sei mesi, ovvero oltre il trentesimo giorno negli altri casi, il contratto si considera a tempo indeterminato dalla scadenza dei predetti termini.

E’ data al datore di lavoro la possibilità di assumere un lavoratore che già sia stato alle sue dipendenze in forza di uno o più contratti a tempo determinato, purchè sia rispettato un determinato intervallo di tempo (dieci o venti giorni rispettivamente se il contratto ha avuto una durata fino a sei mesi o superiore) e che sia anche rispettato il limite complessivo di durata di 36 mesi.

La legge, infatti, prevede espressamente, al comma 3 dell’art. 5 del D.Lgs. n. 368/2001, che qualora il lavoratore venga riassunto a termine entro un periodo di 10 giorni ovvero 20 giorni dalla data di scadenza di un contratto di durata, rispettivamente, inferiore o superiore ai sei mesi, il secondo contratto si considera a tempo indeterminato.

Il comma 4 bis dell’art. 5 del D.Lgs. n. 368/2001, introdotto dall’art. 1, comma 40, della legge n. 247/2007 stabilisce che qualora, a causa di successione di contratti a termine per lo svolgimento di mansioni equivalenti, il rapporto di lavoro fra lo stesso datore di lavoro e lavoratore abbia complessivamente superato i 36 mesi comprensivi di proroghe e rinnovi, indipendentemente dai periodi di interruzione tra un contratto e l’altro, il rapporto si considera a tempo indeterminato dalla scadenza del predetto termine.

L’applicazione di tale limite richiede la presenza di due requisiti: l’identità delle parti del rapporto di lavoro e l’equivalenza delle mansioni.

Ai sensi dell’art. 6 del D.Lgs. n. 368/2001, al lavoratore assunto a termine si applica il principio di non discriminazione rispetto ai lavoratori assunti a tempo indeterminato. Pertanto, al prestatore di lavoro a tempo determinato spettano le ferie e la gratifica natalizia o la tredicesima mensilità, il trattamento di fine rapporto ed ogni altro trattamento in atto nell’impresa per i lavoratori con contratto a tempo indeterminato.

La pattuizione di un periodo di prova è compatibile con il rapporto di lavoro a tempo determinato.

Il lavoratore a tempo determinato deve ricevere una formazione sufficiente ed adeguata alle caratteristiche delle mansioni oggetto del contratto, allo scopo di prevenire i rischi connessi all’esecuzione del lavoro.

In base all’art. 5, comma 4-quater e ss., del D.Lgs. n. 368/2001, il lavoratore che abbia prestato, presso la stessa azienda con uno o più contratti a termine, la propria attività lavorativa per un periodo superiore a sei mesi ha diritto di precedenza, nelle assunzioni a tempo indeterminato effettuate dall’azienda medesima entro i successivi dodici mesi con riferimento alle mansioni già svolte in esecuzione dei rapporti a termine.

Il diritto di precedenza è, però, condizionato alla dichiarazione espressa del lavoratore di volersi avvalere di tale diritto. Il diritto di precedenza trova applicazione con riferimento alle mansioni già espletate e non con riferimento a mansioni equivalenti.

Il rapporto di lavoro a tempo determinato si estingue con lo scadere del termine previsto, senza che sia necessaria al riguardo alcuna particolare manifestazione di volontà delle parti. La cessazione del rapporto deve essere comunicata al centro per l’impiego entro i cinque giorni successivi solo se avviene in data diversa da quella comunicata all’atto dell’assunzione.

Lo scadere del termine dà luogo alla cessazione del rapporto anche se intervenga nel periodo di conservazione del posto per gravidanza, puerperio (art. 54, comma 3, lett. c), D.Lgs. n. 151/2001) e – si deve ritenere – per malattia, infortunio.

Il rapporto di lavoro a termine può cessare prima della scadenza del termine per comune volontà delle parti oppure per recesso per giusta causa. È quindi escluso il giustificato motivo oggettivo.

Nel caso di licenziamento per giusta causa ai sensi dell’art. 2119 cod. civ., al prestatore di lavoro spettano – oltre al trattamento di fine rapporto – soltanto i ratei di ferie e delle voci di retribuzione differita (mensilità aggiuntive, premi di produzione) che abbia già maturato.

In caso di dimissioni del lavoratore nel corso del contratto a termine, deve ritenersi che questi possa essere chiamato al risarcimento dei danni patiti dal datore di lavoro, laddove le dimissioni non siano assistite da giusta causa e pretendere il risarcimento dei danni da parte del datore di lavoro laddove le dimissioni siano state determinate da giusta causa.

Attualmente è in discussione in Parlamento una sostanziale modifica del contratto di lavoro a tempo determinato. Le modifiche attualmente in discussione prevedono, tra l’altro, che sia possibile stipulare il primo contratto a tempo determinato senza la presenza di ragioni tecniche, organizzative, produttive o sostitutive. Tale previsione si riferisce solo al primo rapporto a termine e dovrà essere di durata fino a sei mesi e non sarà possibile prorogarlo.

Inoltre, aumenteranno i tempi da rispettare tra un contratto a tempo determinato e un successivo contratto. In pratica, per evitare la conversione del contratto a tempo indeterminato, bisognerà far trascorrere 60 giorni dalla scadenza del termine nei contratti fino a sei mesi e 90 giorni nei contratti oltre sei mesi.

Infine, la tolleranza, quindi la possibilità di proseguire un contratto di lavoro dipendente a tempo determinato oltre il termine inizialmente previsto, si estende. In pratica per i contratti di durata fino a sei mesi sarà possibile una prosecuzione fino a 30 giorni, per i contratti di durata superiore a sei mesi la tolleranza sarà ammessa fino a 50 giorni. In entrambi i casi il datore di lavoro dovrà compensare il lavoratore con una maggiorazione retributiva del 20% fino al decimo giorno di proroga e del 40% per ogni ulteriore giorno.

Naturalmente, affinché queste modifiche, unitamente a tutta la riforma del diritto del lavoro, dispongano i propri effetti bisognerà attendere la conclusione dell’iter parlamentare. Nelle more che la riforma sia approvata dal Parlamento, continua a produrre effetti la precedente normativa.

Palermo, 12/04/2012

Angelo Pisciotta