Stretta fiscale sui beni della società dati in godimento ai soci o familiari dell’imprenditore

Stretta fiscale sui beni della società dati in godimento ai soci o familiari dell’imprenditore

Con il D.L. 138/2011, convertito in legge n.148/2011, sono stati inaspriti i controlli su tutti i beni intestati alle società (sia di persone sia di capitali) e intestati alle imprese individuali e dati in godimento ai soci o familiari dell’imprenditore.

Le nuove disposizioni, che si applicano a partire dal 1 gennaio 2012, da un lato, mirano a colpire le intestazioni dei beni di comodo alle società (dati in uso ai soci o familiari), anche nel caso in cui i beni riguardano le società pienamente operative; e dall’altro lato, servono ad evitare in futuro nuove intestazione di beni alla società fittizie, riportando quindi i beni direttamente in capo agli effettivi utilizzatori.

I destinatari della nuova normativa sono: le imprese individuali, le società di persone (escluse le società semplici) e le società di capitali. Quindi, sono escluse le società semplici, gli esercenti arti e professioni e le società estere senza stabile organizzazione in Italia, che concedono beni a soggetti residenti.

Prima dell’introduzione del decreto legge 123/2011 i costi dei beni intestati alla società e dati in godimento ai soci o familiari, potevano essere dedotti dal reddito d’impresa secondo le disposizioni previste dal DPR 917/86, mentre, l’Iva relativa ai beni acquistati, se inerenti all’attività, poteva essere portata in detrazione dalla società. Inoltre,  non costituivano reddito imponibile per i il socio o familiare utilizzatore del bene.

Dal 1 gennaio 2012, con l’introduzione del decreto legge 138/2011, la differenza tra il valore di mercato del bene e il corrispettivo annuo pagato dal socio per il godimento del bene costituisce reddito diverso per il socio utilizzatore e se, nel caso in cui il bene viene concesso in godimento con un valore inferiore a quello di mercato, tutti i costi aggiuntivi del bene dato in godimento e sostenuti dalla società, sono indeducibili dal reddito dell’impresa.

L’art. 9 comma 4 del DPR 917/86 definisce il valore di mercato come  “il prezzo o il corrispettivo mediamente praticato per i beni e i servizi della stessa specie o similari, in condizioni di libera concorrenza e al medesimo stadio di commercializzazione, nel tempo e nel luogo in cui i beni o servizi sono stati acquisiti o prestati.

Quindi, per il socio o familiare si prevede una nuova fattispecie di reddito diverso, aggiungendo all’art. 67 del Tuir la nuova lettera h-ter, come la differenza tra il valore di mercato ed il corrispettivo annuo pattuito (che può essere anche pari a zero) per il godimento dei beni dell’impresa a soci  o familiare dell’imprenditore.

Non c’è da sottovalutare che, in molti casi la determinazione del valore di mercato di un bene, ossia di un valore normale, sarà abbastanza difficile, e che potrebbero esservi differenze di valutazione tra l’amministrazione finanziaria e il contribuente.

Inoltre,  per quanto riguarda l’impresa, si prevede l’indeducibilità dei costi  relativi ai beni concessi a un corrispettivo inferiore al valore di mercato: sia costo d’acquisto, gli oneri accessori, i costi di manutenzione, ecc.

Per esempio, una srl, con costi annui pari a € 15.000 relativi alla gestione di un bene dato in godimento a un socio ad un corrispettivo pari a € 30.000, con un valore di mercato del bene pari a € 35.000 si avranno i seguenti effetti:

  1. il socio dovrà dichiarare un reddito pari a € 5.000,  pari alla differenza tra il valore di mercato (€ 35.0000) e corrispettivo pagato (€ 30.000)
  2. l’impresa dovrà esporre in bilancio costi per € 15.000, tali costi saranno indeducibili fiscalmente e dovrà, inoltre, dichiarare ricavi per € 30.000, pari al corrispettivo dovuto dal socio.

Risulta evidente che, con la nuova normativa non esiste più la convenienza  a intestare beni a società e concederli in godimento a soci o  familiari, ma addirittura si finisce, sia per la società che per il socio o familiare, per ricadere in un carico fiscale elevatissimo, che forse non è rappresentativo di una effettiva capacità contributiva richiesta dall’art. 53 della Costituzione.

Palermo, 2 febbraio 2012

Angelo Pisciotta