Recentemente, per far fronte alla crisi economica, che ha colpito il nostro paese, i datori di lavoro si trovano sempre più frequentemente a dover fare delle scelte volte al contenimento del costo del lavoro.
Mentre, alcuni datori ovviano a tale crisi optando per il ricorso agli ammortizzatori sociali, altri entrano in quell'area c.d "di lavoro grigio". Infatti, in qualche caso, i datori di lavoro hanno alle proprie dipendenze lavoratori formalmente assunti con contratto part-time ma che, invece, svolgono la loro attività a tempo pieno; oppure retribuiscono i lavoratori in misura inferiore a quanto risultante dalla busta paga; oppure utilizzano dei contratti di collaborazione invece dei più costosi contratti di lavoro dipendente.
Tale situazione viene accettata dal lavoratore in quanto, come è noto a tutti, la prevalenza dei lavoratori rispetto ai posti di lavoro disponibili, determina una situazione di eccedenza di manodopera che, di fatto, costringe il lavoratore ad accettare questa "area di lavoro grigio", in qualche caso, anche sotto la minaccia del licenziamento.
Tale comportamento, cioè minacciare di licenziamento il lavoratore che non accetti condizioni di lavoro più sfavorevoli di quelle previste dalla legge, rappresenta per il datore di lavoro una estorsione.
Con la recente sentenza n. 36276 dell' 11 ottobre 2010, la Cassazione ha sancito che, anche il consulente del lavoro che, insieme al datore di lavoro, minacci il lavoratore di licenziamento, al fine di costringerlo a firmare delle buste paga contenenti corrispettivi superiori, risponde del reato di estorsione.
Pertanto, il consulente del lavoro, alla stessa stregua del datore di lavoro, risulta imputato di concorso nel reato di estorsione e, nel caso esaminato dalla Suprema Corte, è stato anche condannato al risarcimento dei danni morali e patrimoniali in favore del lavoratore.
La Cassazione ha però precisato che, il consulente, a differenza del datore di lavoro, può godere delle attenuanti ai sensi dell'art.114 comma 1 del codice penale; questo perchè la norma citata dispone che, il giudice, qualora ritenga che l'opera prestata da alcune delle persone che sono concorse nel reato abbia avuto minima importanza nella preparazione o nell'esecuzione del reato, può diminuirne la pena.
Sulla base di quanto detto sopra, la Corte di Cassazione, tende a sottolineare che, qualsiasi minaccia in relazione alle circostanze è sufficiente ad integrare il delitto di estorsione, infatti, la circostanza sopra esposta che rende responsabile il consulente del lavoro del delitto a titolo di concorso con il datore di lavoro giustifica la condanna del consulente, in solido con il datore, al risarcimento dei danni morali, esistenziali e patrimoniali in favore del lavoratore leso.