Il nuovo Codice della crisi d’impresa e dell’insolvenza (Dlgs 12 gennaio 2019, n. 14,

Il nuovo Codice della crisi d’impresa e dell’insolvenza (Dlgs 12 gennaio 2019, n. 14,

 

 

 

IL NUOVO CODICE DELLA CRISI DI IMPRESA

 

  1. Introduzione
  2. Assetto organizzativo, amministrativo e contabile
  3. I controlli interni;
  4. Le segnalazioni dei creditori pubblici qualificati;
  5. Composizione negoziata della crisi;
  6. Transazione fiscale;
  7. Concordato;
  8. Esdebitazione;
  9. Conclusioni

 

  1. Introduzione

Il prossimo 15 luglio, dopo una proroga di quasi due anni, entrerà in vigore il nuovo Codice della crisi d’impresa e dell’insolvenza (Dlgs 12 gennaio 2019, n. 14, noto in sigla come Cci o Ccii), nel testo modificato dal cosiddetto decreto correttivo (Dlgs 83/2022, pubblicato il 1° luglio) che ha recepito la direttiva europea Insolvency.

Il ministero della Giustizia (con il Dm 75/2022) ha istituito l’Albo dei gestori della crisi.

Obiettivi della novella normativa sono:

  • semplificare e razionalizzare la disciplina;
  • favorire l’emersione anticipata delle crisi e le conseguenti tempestive soluzioni delle medesime;
  • potenziare le soluzioni negoziate;
  • favorire meccanismi e tecniche di conservazione delle strutture produttive;
  • realizzare un migliore coordinamento fra regole concorsuali e regole societarie;
  • favorire l’esdebitazione.

All’imprenditore, quindi, si chiede di agire rapidamente per superare la difficoltà ed evitare l’apertura della procedura liquidatoria, vista come l’extrema ratio nella gestione della crisi.

Per raggiungere tale obiettivo la legge impone all’imprenditore collettivo di dotarsi di assetti organizzativi, amministrativi e contabili in grado di rilevare tempestivamente la crisi, offrendogli un amplissimo ventaglio di strumenti tra cui scegliere ciò che meglio si adatta al grado di difficoltà economica in cui versa.

La scelta dello strumento di soluzione della crisi, che presuppone una conoscenza altamente specialistica del diritto e della gestione dell’impresa, anche se non espressamente previsto dalla legge, non può prescindere dall’assistenza da parte di professionisti del settore.

Infine, nel nuovo sistema di gestione della crisi di impresa non sono più utilizzati i termini fallito e fallimento (quest’ultimo sostituito dal termine liquidazione giudiziale).

  1. Assetto organizzativo, amministrativo e contabile

La modifica più importante che il Codice della crisi ha apportato alle disposizioni del codice civile, in vigore già dal 16 marzo 2019, riguarda l’integrazione del comma 2 dell’articolo 2086 del Codice civile, ora rubricato «Gestione dell’impresa».

Tale comma impone all’imprenditore, che operi in forma collettiva o societaria, di:

  • istituire un assetto organizzativo, amministrativo e contabile adeguato alla natura e dimensioni dell’impresa;
  • assicurarsi che tale assetto sia anche in grado di rilevare subito la crisi e la perdita della continuità aziendale;
  • attivarsi senza indugio per adottare strumenti che consentano il superamento della crisi e il recupero della continuità dell’impresa, c.d. going concern.

L’assetto amministrativo-contabile può definirsi come l’insieme delle direttive, delle procedure e delle prassi operative dirette a garantire la completezza, la correttezza e la tempestività di un’informativa societaria attendibile, in accordo con i principi contabili adottati dall’impresa. L’adeguatezza del sistema amministrativo-contabile consente di ottenere una rilevazione contabile e una rappresentazione dei fatti di gestione completa, tempestiva e attendibile; la produzione di informazioni valide e utili per le scelte di gestione e per la salvaguardia del patrimonio aziendale; la produzione di dati attendibili per il bilancio d’esercizio.

Si tratta, quindi, di predisporre un sistema idoneo ad assicurare la completezza e correttezza dei dati economico-finanziari e, operativamente, di associare i fatti economici più rilevanti secondo la loro rischiosità complessiva con i processi gestionali che li alimentano, rilevandone le responsabilità gestionali, le direttive, le procedure e le prassi operative di governo delle attività, nonché gli strumenti (anche informatici) di gestione dei rischi di errore a esse associati.

Si tratta, quindi, di un monitoraggio dell’andamento della gestione e dei risultati in corso di formazione che diventa essenziale nella tempestiva rilevazione di sintomi di crisi e di perdita di continuità aziendale.

Una informativa societaria completa e tempestiva, non solo consuntiva ma anche previsionale, richiede l’introduzione e l’uso di strumenti di pianificazione e controllo in grado di fornire al management tutte le informazioni necessarie per assumere decisioni, anche attraverso l’analisi degli scostamenti tra risultati consuntivati e attesi.

Da questa angolazione, l’assetto amministrativo comprende i sistemi di pianificazione e controllo, che andranno adattati tenendo anche conto delle diverse dimensioni delle aziende. In quelle di ridotte dimensioni, normalmente prive di sistemi previsionali articolati, sarà sufficiente l’introduzione di sistemi di controllo con solo un’analisi di tipo consuntivo, che in ogni caso potrà fornire utili indicazioni per monitorare e orientare la gestione, introducendo comunque indicatori che possano evidenziare la mancanza di condizione di equilibrio.

In sintesi, la finalità del sistema amministrativo contabile è quella di fornire informazioni anche di tipo predittivo ai soggetti interessati. Si tratta, quindi, di un approccio preventivo alla gestione d’impresa.

La norma introdotta dal Codice della crisi responsabilizza maggiormente gli organi societari sull’organizzazione dell’impresa. Inoltre, la disposizione produce effetti anche sull’attività dell’organo di controllo, chiamato a vigilare in particolare sull’adeguatezza dell’assetto organizzativo predisposto dall’organo gestorio.

Quando gli assetti organizzativi, amministrativi, e contabili sono adeguati?

Prendendo spunto dalle norme di comportamento del collegio sindacale delle società non quotate emanate dal Consiglio nazionale dei dottori commercialisti e degli esperti contabili (Cndcec) si può dire che, in generale un assetto organizzativo può definirsi adeguato quando la società, tenuto conto delle sue dimensioni, della natura dell’oggetto sociale e delle modalità del suo conseguimento, presenta le seguenti peculiarità:

  • ha redatto l’organigramma aziendale con chiara identificazione delle funzioni, dei compiti e delle linee di responsabilità;
  • è possibile constatare l’esercizio dell’attività decisionale e direttiva della società da parte dei soggetti ai quali sono attribuiti i relativi poteri;
  • sono presenti procedure che assicurano la presenza di personale con adeguata competenza a svolgere le funzioni assegnate;
  • sono presenti direttive e procedure aziendali effettivamente portate a conoscenza del personale e periodicamente ne è curato l’aggiornamento.

Infine, ai fini della valutazione dell’assetto organizzativo, è importante verificare la rispondenza fra la struttura decisionale aziendale e le deleghe depositate presso il Registro delle imprese.

  1. I controlli interni;

Più precisamente, il Codice della crisi richiede che le “misure” adottate dall’imprenditore individuale e gli “assetti” di quello collettivo, per l’emersione tempestiva della crisi, siano in grado di segnalare eventuali squilibri di carattere patrimoniale o economico-finanziario, di verificare la sostenibilità dei debiti e le prospettive di continuità aziendale almeno per i 12 mesi successivi e di rilevare:

  • l’esistenza di debiti per retribuzioni scaduti da almeno 30 giorni pari a oltre la metà dell’ammontare complessivo mensile delle retribuzioni;
  • l’esistenza di debiti verso fornitori scaduti da almeno 90 giorni di ammontare superiore a quello dei debiti non scaduti;
  • l’esistenza di esposizioni nei confronti delle banche e degli altri intermediari finanziari che siano scadute da più di 60 giorni o che abbiano superato da almeno 60 giorni il limite degli affidamenti ottenuti in qualunque forma, purché rappresentino complessivamente almeno il 5% del totale delle esposizioni;
  • l’esistenza di una o più delle esposizioni debitorie verso Inps, Inail, agenzia delle Entrate/Riscossione.

La norma in commento, inoltre, attribuisce all’organo di controllo della società il dovere di segnalare, per iscritto, all’organo di amministrazione la sussistenza dei presupposti per la presentazione dell’istanza per l’accesso alla composizione negoziata attraverso la nomina dell’esperto indipendente.

L’organo di controllo (collegio sindacale o sindaco unico; è quindi escluso il revisore) è altresì destinatario delle segnalazioni di esposizioni debitorie rilevanti della società effettuate dai creditori pubblici qualificati.

  1. Le segnalazioni dei creditori pubblici qualificati;

Il Codice della crisi impone ai creditori pubblici qualificati di eseguire specifiche segnalazioni.

In particolare, è previsto che siano segnalate sia all’impresa debitrice e sia organo di controllo:

  • da parte dell’Inps, il ritardo di oltre 90 giorni nel versare contributi previdenziali che superino, per le imprese con lavoratori subordinati e para-subordinati, il 30% di quelli dovuti nell’anno precedente nonché alla soglia di 15mila euro e, per quelle senza tali lavoratori, alla sola soglia di 5mila euro;
  • da parte dell’Inail, il ritardo di oltre 90 giorni nel versamento dei premi assicurativi di ammontare superiore a 5mila euro;
  • da parte dell’agenzia delle Entrate, un debito Iva di oltre 5mila euro scaduto, risultante dalla comunicazione dei dati delle liquidazioni periodiche;
  • da parte degli agenti della riscossione, i crediti affidati per la riscossione, scaduti da oltre 90 giorni, superiori per le imprese individuali a 100mila euro, per le società di persone a 200mila euro e, per le altre società, a 500milaeuro.

La segnalazione inviata all’imprenditore deve contenere l’invito a chiedere la composizione negoziata della crisi, se ne ricorrono i presupposti.

Tale segnalazione parte dal presupposto che se l’impresa non ha versato imposte e contributi per cifre rilevanti, è abbastanza probabile che la situazione, e quindi i presupposti di accesso alla composizione negoziata, sussistano effettivamente.

  1. Composizione negoziata della crisi;

Una delle novità di maggior rilievo del nuovo Codice della crisi è l’introduzione di un nuovo istituto: la composizione negoziata della crisi di impresa, che riconosce all’imprenditore la possibilità di richiedere la nomina di un esperto indipendente che lo affianchi nelle trattative con i creditori per individuare una soluzione che consenta il superamento della situazione di crisi.

L’istituto della composizione negoziata non è una procedura concorsuale, si attiva su base volontaria e vi può accedere l’imprenditore commerciale e agricolo che si trova in una condizione di squilibrio patrimoniale o economico-finanziario che ne rendono probabile la crisi o l’insolvenza, quando risulta ragionevolmente perseguibile il risanamento della sua impresa.

Con riferimento al profilo soggettivo, dal disposto normativo risulta, quindi, che la procedura è aperta a tutti gli imprenditori iscritti nel registro delle imprese e, quindi, vi può accedere anche l’imprenditore agricolo che è assimilato, a tutti gli effetti, all’imprenditore commerciale.

Mentre il profilo oggettivo è determinato da una situazione di squilibrio patrimoniale e economico-finanziaria dell’impresa che deve però essere caratterizzata dalla ragionevole possibilità di risanamento che le consenta di riuscire ad uscire dalla situazione di crisi o di insolvenza in cui si trova.

È previsto un generale obbligo per debitori e creditori di comportarsi secondo buona fede e correttezza nella composizione negoziata, nelle trattative e nei procedimenti per l’accesso agli strumenti di composizione della crisi e dell’insolvenza. Questo significa che l’obbligo di buona fede riguarda anche le negoziazioni coi creditori, all’interno e all’esterno delle procedure.

Questo obbligo si traduce in alcuni doveri specifici:

  • illustrare la propria situazione ai creditori in modo completo, veritiero e trasparente fornendo tutte le informazioni appropriate sia durante la composizione negoziata che in riferimento alla procedura (concordato preventivo, accordi di ristrutturazione eccetera) prescelta. A tale obbligo corrisponde un dovere di riservatezza dei creditori, pena il risarcimento dei danni, sulle informazioni ricevute.
  • individuare con rapidità le soluzioni idonee a superare la crisi o l’insolvenza in caso di composizione negoziata scegliendo subito la procedura cui è opportuno accedere per non pregiudicare i creditori;
  • gestire il patrimonio e l’impresa nell’interesse prioritario dei creditori.

Inoltre, l’imprenditore in stato di crisi deve gestire l’impresa in modo da evitare pregiudizio alla sostenibilità economico-finanziaria dell’attività.

Infine, se vi è insolvenza, e l’imprenditore non intende immettere finanza nuova e non vi è un acquirente all’orizzonte, l’insolvenza va ritenuta irreversibile e bisogna porre fine alla composizione negoziata, passando alla liquidazione.

  1. Transazione fiscale;

Nell’ambito del procedimento per concordato preventivo o accordo di ristrutturazione dei debiti è ammessa la possibilità per il contribuente di presentare la domanda di transazione fiscale, che può avere ad oggetto tutti i crediti dell’amministrazione finanziaria e degli enti gestori di forme di previdenza o assistenza obbligatorie. Sono invece esclusi dalla transazione fiscali i tributi locali.

Il procedimento di transazione fiscale è obbligatorio in tutte le ipotesi in cui sia previsto il pagamento parziale o dilazionato dei crediti fiscali e contributivi. Nell’ambito di tale procedimento è ammessa anche la falcidia dei debiti relativi ad Iva ed alle ritenute operate e non versate.

L’articolo 63, comma 2-bis del Codice della crisi, che regola la transazione fiscale negli accordi di ristrutturazione dei debiti, stabilisce che gli accordi sul trattamento dei debiti tributari sono omologabili dal tribunale anche in mancanza di adesione dell’amministrazione finanziaria, se tale adesione è conveniente per l’erario rispetto alla liquidazione del debitore e determinante per raggiungere la soglia minima di adesioni richiesta ai fini dell’efficacia degli accordi.

La novità riguarda il fatto che mentre la legge fallimentare fa riferimento solo «al raggiungimento della percentuale di cui al primo comma» (il 60% previsto in via ordinaria), il codice della crisi di impresa si riferisce alla percentuale ordinaria del 60% sia a quella del 30% stabilita per gli accordi “agevolati”.

È così espressamente prevista la possibilità di cram down fiscale anche per gli accordi di ristrutturazione agevolati.

  1. Concordato;

Il concordato preventivo è uno strumento di soluzione della crisi d’impresa che si attua attraverso un accordo di natura negoziale tra l’impresa debitrice e i creditori, finalizzato alla liquidazione dell’azienda o al risanamento aziendale e alla ristrutturazione del debito.

L’azienda esercitata dall’imprenditore in crisi, all’esito positivo del concordato, continua a essere esercitata da questi o da un terzo che compri l’azienda o la acquisisca. Non è l’identica azienda, sia perché alcuni cespiti non strumentali potrebbero essere liquidati sia perché essa esce dal concordato parzialmente liberata dai debiti.

Il concordato, quindi, favorisce la continuità aziendale, sul presupposto che, se l’imprenditore è in crisi, la conservazione dell’azienda anche in vista dell’eventuale vendita tuteli di più creditori e dipendenti. Il Codice introduce il divieto ai creditori di rifiutare l’adempimento di contratti pendenti solo per il fatto del concordato.

Per favorire la continuità è confermato che non si applica la soglia minima di soddisfazione del 20%, nella prospettiva che i flussi di denaro generati dalla prosecuzione dell’attività beneficeranno creditori/fornitori e creditori/dipendenti indirettamente. Infatti, l’articolo 84 del Codice, sostituito in sede di correzione, dispone che la «prosecuzione o rinnovazione di rapporti contrattuali con il debitore» sia un’utilità da destinare ai creditori «economicamente valutabile».

Sui flussi della continuità, è stata introdotta la priorità relativa, cioè la possibilità di distribuire il plusvalore generato con soddisfacimento del credito inserito in una classe (e le classi sono ora obbligatorie nel concordato in continuità) in pari misura rispetto alle classi dello stesso grado e in misura superiore alle classi inferiori. Fermo restando il privilegio dei lavoratori dipendenti.

Invece, il ricavato della liquidazione dovrà rispettare le cause legittime di prelazione.

Dovrà in ogni caso assicurarsi ai creditori un vantaggio maggiore che nella liquidazione giudiziale (e ciò andrà attestato). Inoltre, andrà confermato che il piano di concordato in continuità «è atto a impedire o superare l’insolvenza del debitore, a garantire la sostenibilità economica dell’impresa e a riconoscere a ciascun creditore un trattamento non deteriore rispetto a quello che riceverebbe in caso di liquidazione giudiziale».

Il Tribunale, in sede di omologa, verifica che il piano «non sia privo di ragionevoli prospettive di impedire o superare l’insolvenza» e che «la fattibilità del piano, intesa come non manifesta inattitudine a raggiungere gli obiettivi prefissati». Non c’è più il riferimento alla fattibilità economica del piano: la giurisprudenza ha chiarito che resta estranea al controllo del Tribunale e spetta ai creditori.

Il contenuto del piano dovrà essere molto più analitico rispetto a prima e dovrà indicare le iniziative da adottare in caso di scostamento dagli obiettivi.

  1. Esdebitazione;

La persona fisica, dopo la chiusura del suo fallimento, può avere interesse a esercitare una nuova attività imprenditoriale senza il pericolo che i creditori non soddisfatti nella procedura promuovano azioni giudiziarie per recuperare quanto a loro ancora dovuto.

Per questa ragione è stato introdotto l’istituto dell’esdebitazione, la cui concessione da parte del tribunale è condizionata alla chiusura del fallimento, al pagamento almeno parziale dei creditori e al fatto che il fallito abbia tenuto, durante la procedura, un comportamento diligente e corretto.

Il Codice della Crisi di Impresa implementa l’istituto dell’esdebitazione anche per le persone giuridiche, cui finora oggi era precluso l’accesso. Essa consiste nella dichiarazione di inesigibilità dei crediti rimasti insoddisfatti all’interno di una procedura di liquidazione giudiziale o controllata. Può essere richiesta a partire dal terzo anno dall’apertura del concorso o contestualmente al decreto di chiusura della procedura, se antecedente. Il termine è abbreviato a due anni se il debitore ha esperito la composizione negoziata e si è visto aprire una liquidazione giudiziale o controllata.

Mentre per imprese minori e consumatori l’istituto opera di diritto (articolo 282), l’esdebitazione all’esito della liquidazione giudiziale deve essere richiesta e va accertata dal Tribunale con procedimento apposito.

Il “beneficio” non può essere concesso se il debitore è stato condannato definitivamente per bancarotta fraudolenta o delitti contro economia pubblica, industria e commercio o altri delitti compiuti in connessione con l’esercizio dell’attività d’impresa

L’esdebitazione è poi esclusa se il debitore ha compiuto attività fraudolente o se ha ostacolato o rallentato lo svolgimento della procedura. Per i debitori soggetti al sovraindebitamento, occorre anche verificare che il dissesto non si sia originato con dolo, colpa grave o malafede.

Infine, l’esdebitazione non si può chiedere se si è ottenuta nei cinque anni precedenti o se si è beneficiato per due volte dell’istituto.

Se il ricorso viene accolto, esso determina l’inesigibilità dei crediti per la porzione non soddisfatta dai riparti, ma non opera per i debiti di origine aquiliana, per le obbligazioni alimentari e per le sanzioni penali e amministrative di carattere pecuniario purché non accessorie a debiti già estinti.

I creditori e il pm possono proporre reclamo avverso la concessione dell’esdebitazione entro trenta giorni dalla comunicazione ricevuta dalla cancelleria.

  1. Conclusioni

Scopo primario del Codice della Crisi di impresa è l’emersione anticipata della crisi. Da quest’esigenza deriva la previsione degli strumenti di allerta. Si tratta del dovere attribuito all’organo amministrativo di istituire un assetto organizzativo, amministrativo e contabile adeguato all’impresa.

Inoltre, sono stati stabiliti specifichi obblighi di sorveglianza a carico degli organi di controllo sull’adeguatezza dei medesimi assetti e sull’andamento dell’attività d’impresa. Si tratta anche degli obblighi di segnalazione di fondati indizi della non sostenibilità dei debiti e dell’assenza di prospettive di continuità aziendale.

L’obiettivo dell’emersione anticipata della crisi, come già più volte evidenziato, è di salvaguardia del valore dell’impresa, dei suoi assets e del mantenimento dei posti di lavoro.

Tuttavia, non è da escludere che un elevato numero di imprenditori che, in assenza di un pianificato percorso di crescita culturale, non riusciranno, quantomeno nel breve periodo, a rispettare la norma, continuando a considerarla come l’ennesimo adempimento burocratico-amministrativo da trasferire al proprio commercialista di fiducia per il relativo adempimento, senza nemmeno percepirne l’incremento delle responsabilità che deriverà dal suo mancato rispetto.

Palermo, 8 luglio 2022

Avv. Dott. Angelo Pisciotta