Tra le procedure giudiziarie concorsuali, il fallimento viene dichiarato nel caso in cui l’imprenditore non sia in grado di adempiere alle obbligazioni assunte, ed ha, quindi, come scopo la liquidazione di un’impresa in stato di insolvenza.
Con la sentenza che dichiara il fallimento, il patrimonio e la relativa gestione sono sottratti coattivamente all’imprenditore e affidati al curatore fallimentare, che deve effettuarne la liquidazione e ripartire il ricavato, al netto delle spese sostenute per la procedura, fra i creditori.
Il curatore, dunque, si sostituisce all’imprenditore, con lo scopo non di produrre beni e servizi, ma di gestire la situazione debitoria attraverso l’amministrazione ordinaria e straordinaria, la liquidazione o la dismissione dei beni, le azioni di recupero di beni o crediti non riscossi e la gestione dei contratti in corso, compresi gli eventuali rapporti di lavoro esistenti.
Ai fini della gestione dei rapporti di lavoro da parte del curatore è d’uopo innanzitutto far riferimento all’art. 2119 c.c. secondo cui il fallimento del datore di lavoro non è di per sé giusta causa di risoluzione del contratto di lavoro subordinato.
Di conseguenza, con la dichiarazione di fallimento, l’esecuzione del contratto di lavoro subordinato rimane sospesa fino a quando il curatore non dichiara di subentrare in luogo del fallito assumendosene i relativi obblighi (in primis obblighi retributivi e contributivi), ovvero di recedere dal medesimo.
Il curatore fallimentare può trovarsi di fronte a più alternative che influenzano la continuazione o la cessazione dei rapporti di lavoro in essere all’atto della dichiarazione di fallimento. Ciò scaturisce dal fatto che la dichiarazione di fallimento non necessariamente comporta l’immediata cessazione dell’attività. In presenza di determinate condizioni, è, infatti, possibile la prosecuzione dell’attività attraverso l’esercizio provvisorio, oppure l’affitto o il trasferimento dell’azienda o di un ramo di essa. Misure, queste, che devono essere preventivamente autorizzate dal giudice delegato.
La continuazione dell’attività di impresa può essere autorizzata dal giudice nel caso in cui si ritenga che ciò sia funzionale alla massimizzazione dell’attivo fallimentare. Si tratta di un esercizio che data la sua natura eccezionale ha, di norma, una durata non superiore all’anno. A seguito dell’autorizzazione all’esercizio, i rapporti di lavoro in essere passano automaticamente e senza soluzione di continuità in capo alla curatela.
Nel corso dell’esercizio provvisorio, le retribuzioni maturate dai dipendenti e i relativi oneri contributivi ed assicurativi sono debiti della procedura che andranno soddisfatti in prededuzione. L’art. 11, c. 2, L. F. stabilisce che sono considerati crediti prededucibili i crediti così qualificati da una specifica disposizione di legge, e quelli sorti in occasione o in funzione delle procedure concorsuali. Il riconoscimento della prededucibilità permette un soddisfacimento attraverso una corsia preferenziale a questa tipologia di obbligazioni.
Nelle ipotesi di affitto o cessione dell’azienda o di un ramo di essa (articolazione dell’impresa funzionalmente autonoma), la gestione dei rapporti di lavoro è disciplinata dall’ art. 2112 c.c. che ne prevede la continuazione senza soluzione di continuità in capo al soggetto affittante/acquirente e con la conservazione da parte del lavoratore di tutti i diritti che ne derivano.
Nel caso in cui non si è avuta autorizzazione all’esercizio provvisorio, oppure il curatore fallimentare non ritiene di dover subentrare nei contratti di lavoro pendenti, egli deve verificare se sussistono i requisiti per richiedere la “Cigs concorsuale”. Fino al 31 dicembre 2015 le aziende fallite possono accedere alla Cigs concorsuale solo se saranno ritenute “risanabili”, ossia se potranno prospettare la continuazione dell’attività e la salvaguardia anche parziale dei livelli occupazionali. L’esistenza delle condizioni è valutata dal Ministero del lavoro sulla base di parametri oggettivi che lo stesso Ministero ha individuato con decreto n. 70750/2012.
La durata del trattamento della Cigs è di 12 mesi e gli effetti retroagiscono alla data di dichiarazione del fallimento. È possibile una proroga di ulteriori 6 mesi. Non si tratta di un automatismo ma, affinché possa esserci la proroga, sono necessarie precise condizioni che devono essere riscontrabili nella dettagliata relazione prodotta dal curatore e approvata dal giudice delegato che comprova le prospettive di effettiva continuazione o ripresa dell’attività e/o di salvaguardia dei livelli occupazionali tramite cessione di azienda.
Occorre ricordare, però, che dal 1 gennaio 2016 non sarà più possibile ricorrere alla Cigs concorsuale a seguito dell’abrogazione dell’art. 3 della legge n. 223/1991 disposta dalla legge n. 92/2012.
Inoltre, il Ministero ha chiarito che un trattamento di Cigs per causali diverse da quella concorsuale (si pensi alla Cigs per crisi aziendale o per ristrutturazione) cessa alla data del fallimento; e solo dalla data del fallimento decorreranno i termini di fruizione dell’eventuale Cigs concorsuale richiesta.
Come già esposto precedentemente, la cessazione del rapporto di lavoro non è conseguenza automatica del fallimento, ma può avvenire solo a seguito di dimissioni del lavoratore, di licenziamento intimato dal curatore o di risoluzioni consensuali del rapporto di lavoro. La risoluzione del contratto di lavoro deve avvenire nel rispetto delle procedure previste dalla legge.
La volontà del curatore di recedere dal contratto di lavoro si verifica quando si è di fronte all’effettiva e definitiva cessazione dell’attività aziendale, si pensi alla fine della Cigs, oppure quando mancano i presupposti per farvi ricorso, o in assenza di offerte per l’affitto o la cessione dell’azienda o di un ramo di essa ove il dipendente sia occupato.
Se il licenziamento riguarda dipendenti di un datore di lavoro che occupa più di 15 dipendenti, qualora via sia l’intenzione di licenziare almeno 5 lavoratori nell’arco di 120 giorni e nell’ambito dello stesso territorio provinciale, il curatore fallimentare deve rispettare la disciplina dei licenziamenti collettivi.
Gli eventuali licenziamenti individuali derivanti da cessazione di attività aziendale sono riconducibili al giustificato motivo oggettivo, in quanto riconducibili a “ ragioni inerenti all’attività produttiva, all’organizzazione del lavoro e al regolamentare funzionamento di essa”. Anche in questo caso il curatore procederà secondo legge.
Palermo 07 maggio 2015
Dott. Angelo Pisciotta
Consulente del Lavoro e Dottore Commercialista