La legge fallimentare punisce alcuni atti o fatti compiuti durante la procedura fallimentare o nel periodo precedente: sono i così detti reati concorsuali o fallimentari. Tra i reati concorsuali la legge fallimentare prevede la bancarotta semplice o fraudolenta, ed è proprio su quest’ultima che si sofferma il presente intervento.
La bancarotta fraudolenta è regolamentata dall’art. 216 della legge n. 267 del 1942 c.d. legge fallimentare. Tale norma prevede che, è punito con la reclusione da 3 a 10 anni, l’imprenditore, o l’amministratore, che ha:
- Occultato, distrutto, distratto o dissipato, in tutto o in parte, i suoi beni, ovvero, al fine di arrecare danno ai creditori, dichiarato o riconosciuto delle passività inesistenti;
- Sottratto, distrutto o falsificato in tutto o in parte, al fine di procurare a sé o ad altri un ingiusto profitto o al fine di procurare danno ai creditori, i libri e le altre scritture contabili o li abbia tenute in modo tale da rendere impossibile la ricostruzione del patrimonio o del reale movimento degli affari;
- Eseguito pagamenti o simulato titoli di prelazione, al fine di favorire alcuni creditori a danno di altri.
Tale reato comporta, per gli illeciti previsti nei primi due punti prima citati, oltre alla reclusione da tre a dieci anni, l’inabilitazione, per dieci anni, all’esercizio di un’impresa commerciale e l’incapacità di esercitare cariche direttive presso qualsiasi impresa. Mentre, per i reati previsti dal terzo punto prima citato, è prevista la reclusione da uno a cinque anni.
Con la sentenza n.2501 del 25 febbraio 1999, la Cassazione penale ha stabilito che una persona estranea al fallimento può concorrere nel reato di bancarotta fraudolenta quando apporta consapevolmente e volontariamente un concreto contributo materiale o morale alla produzione dell’evento. E’ questo il caso, per esempio, di avvocati e commercialisti come previsto dalla sentenza n.8327 del 14 luglio 1998 della Cassazione penale.
Recentemente, con la sentenza n.121 depositata giorno 9 gennaio 2012, la Corte di Cassazione sezione penale ha ribadito che anche il commercialista e l’avvocato possono essere accusati di bancarotta fraudolenta se tramite la loro consulenza mettono in atto anche solo una delle tre situazioni rientranti nella bancarotta fraudolenta. Essi, inoltre, possono essere accusati di aver creato un danno di rilevante entità, aggravando la pena.
La sentenza nasce dopo che un avvocato e un commercialista, per salvare il patrimonio di una società in crisi, società che chiameremo α, avevano consigliato di costituire una nuova società, società che chiameremo β. La società β avrebbe ricevuto dalla società α, in evidente stato di insolvenza, tutto l’asset societario della società α.
Cioè, la società α avrebbe ceduto alla società β tutto l’attivo del proprio patrimonio, distraendo tutta la liquidità della società α, liquidità che sarebbe servita a pagare i creditori, lasciando a quest’ultima, invece, solamente i debiti insoluti.
Il comportamento descritto nel caso sopra esposto rientra nella casistica della bancarotta fraudolenta. Si tratta, infatti, di occultamento e distrazione di tutto l’attivo della società, al fine di arrecare danno e sottrarre liquidità ai creditori.
Quindi, anche l’avvocato e il commercialista verranno puniti con la reclusione da 3 a 10 anni più una pena accessoria che prevede l’inabilitazione, per dieci anni, all’esercizio di un’impresa commerciale e l’incapacità di esercitare cariche direttive presso qualsiasi impresa. Rimangono, poi, dubbie le conseguenze professionali e i provvedimenti che gli albi di appartenenza, eventualmente, prenderanno nei confronti di quei professionisti condannati per bancarotta fraudolenta.